Dea degli incroci, dei trivi, dei cicli lunari e dei viaggi, Ecate è divinità psicopompa, capace di viaggiare nel mondo dei vivi e in quello dei morti, accompagnata da spettri, da cani, dotata di tre volti e di tre età, è una delle figure più affascinanti e misteriose del mondo pagano. Le origini di Ecate sono poco note, ma certamente sono origini indoeuropee o, con più probabilità, pre-indoeuropee. Esiodo la ritiene figlia del titano Perse e di Asteria, e quindi è diretta discendente della stirpe titanica. Fu Ecate a sentire le grida di Persefone, rapita da Ade presso il Lago Pergusa e condotta negli Inferi, e fu sempre lei ad avvertire Demetra dell’accaduto. È anche la dea della magia, che regna sui demoni malvagi, nella religione greca e romana (in latino: Hecata o Hecate; in greco antico: Ἑκάτη, Hekátē).
Spesso è raffigurata con le torce nelle mani, per la sua capacità di accompagnare anche i vivi nel regno dei morti (la Sibilla Cumana traeva da Ecate la capacità di dare responsi). Dea degli incantesimi e degli spettri, Ecate è raffigurata in modo triplice (giovane, adulta e vecchia), ed è rappresentata dal numero Tre; le sue statue proteggevano i viandanti e le erano propri gli appellativi Enodia e Trioditis.
Il sentiero collega elementi fisici e naturali del paesaggio con gli elementi di un paesaggio simbolico, unendo diversi piani di esistenza e di coscienza. «I crocicchi sono sempre stati luoghi incantati, dominati dagli Dei dei trivi e dei quadrivi, luogo d’incontro di fattucchiere e banditi, cospiratori e cavalieri» (Pagani, 1987). I sentieri sono misteriosi luoghi di incontri che connettono gli elementi del viaggio al simbolo arcaico del labirinto, quindi della ricerca e delle difficoltà che l’uomo deve affrontare nella sua esistenza terrena.
Le sue figlie erano chiamate Empuse, ma spesso veniva associata a una natura bisessuata, includendo in sé entrambi i principi della generazione: il maschile e il femminile. Per questo motivo venne anche definita “fonte della vita” e le venne attribuito il potere vitale su tutti gli elementi.
Quale ne’ pleniluni sereni
Trivia ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo ciel per tutti i seni
Dante, Commedia, Paradiso, XXIII, 25-27
Fu anche divinità delle terre selvagge e del parto nella Tracia. Nell’esoterismo greco, di derivazione egizia, in riferimento a Ermete Trismegisto e nei papiri di magia della Tarda Antichità, fu descritta come una creatura a tre teste: una di cane, una di serpente e una di cavallo.
Tra le testimonianze letterarie, Ecate fu protagonista nella Teogonia di Esiodo (vv. 411-452): si tratta del noto inno a lei dedicato, nel quale Zeus “la favorì più di tutti gli altri Dei”. Nella Teogonia esiodea è la figura tutelare delle strade, in particolare nei punti dove esse si incrociano. A Roma sarà Trivia: come suggerisce l’etimo del termine, essa prende nome e forma proprio da questa sua connessione con il trivium stesso, la zona di incontro di tre vie. È interessante notare anche un’etimologia comune con l’aggettivo triviale, quindi popolare, del volgo, delle strade. Ecate è anche divinità in stretta connessione con il popolo, che protegge e aiuta prendendo diverse forme.
Altra connessione di particolare interesse è quella che esiste tra Ecate e un’altra divinità collegata alle zone liminali: quella di Giano, rappresentato tradizionalmente come bifronte.
Giano viene citato con Ecate nel sesto inno di Proclo, in cui il poeta invoca le due divinità a soccorso del proprio cammino esistenziale, proprio in qualità di “custodi delle porte” e guide nei percorsi iniziatici. Riguardo a Giano, le analogie con Ecate vanno anche oltre: nonostante in Giano siano espresse, nell’iconografia, due facce – riconducibili al passato e al presente –, si tratta comunque di una divinità dal triplice aspetto. Come sostiene l’esoterista Guénon, infatti: «fra il passato che non è più e il futuro che non è ancora, il vero volto di Giano, quello che guarda il presente, non è, si dice, né l’uno né l’altro di quelli visibili. Questo terzo volto, infatti, è invisibile perché il presente, nella manifestazione temporale, non è che un istante inafferrabile; ma, quando ci si innalza al di sopra delle condizioni di questa manifestazione transitoria e contingente, il presente contiene al contrario ogni realtà.» (Guénon, 1990).
Plutarco la descrive come una barriera tra mondo fisico e spirituale. Ecate trasmette il principio della vita, grazie anche alla sua natura maschile e femminile al tempo stesso.
Nell’iconografia Ecate viene rappresentata spesso con sembianze di cane o seguita da cani infernali ululanti ed era considerata protettrice dei cani.
In un frammento di Porfirio, riportato in Eusebio, Praeparatio Evangelica, IV, 23, 175, c-d, vengono descritti gli attributi lunari di una statuetta che reca l’effige di Ecate: vesti bianche, sandali dorati – o bronzei, a seconda che si tratti di luna crescente o luna piena – e delle torce accese tra le mani. Tra le braccia vi è un canestro pieno di frumento, un ramo d’olivo e dei fiori di papavero. Ecate viene descritta “con volto di cane, tre teste, inesorabile, con dardi dorati …”
Il cane è un animale associato al mondo ctonio, ad esempio, Cerbero è guardiano dei cancelli dell’oltretomba. Considerato guida fedele nella vita terrena, il cane era sacrificato ai defunti per accompagnarli nel viaggio negli Inferi: ciò accadeva anche nelle culture precolombiane, dove l’animale era utilizzato nei culti funerari sempre con la medesima funzione.
L’altro animale sacro alla dea Ecate era il cavallo. Nonostante esso rappresentasse la forza e la vitalità, questo simbolo era associato anche al regno dei morti. Il cavallo è immagine solare se traina il carro di Apollo, ma evoca la morte e la distruzione se diventa la cavalcatura dei cavalieri dell’Apocalisse. È importante notare che sia Nettuno che l’antica divinità romana Consus (che presiedeva alla conservazione del grano nel terreno e che, secondo Dionigi di Alicarnasso, poteva essere identificato con Nettuno Seisichthon – che “scuote la Terra” – o con il Neptunus Equestris – ovvero Nettuno “protettore dei cavalli”) avevano come animali sacri i cavalli e che anche Plutone, re dell’Ade, secondo il mito, rapì Proserpina, mentre la fanciulla coglieva i fiori sulle rive del lago Pergusa, trascinandola sulla sua biga trainata da quattro cavalli neri. Nel Medioevo, inoltre, il cavallo fu anche simbolo della magia e gli si attribuirono proprietà divinatorie e profetiche.
In relazione a questo aspetto magico, è necessario ricordare quelle entità demoniache denominate negli oracoli “cani” e prese come scorta di Ecate nelle sue epifanie. Si tratta di creature che si cibano delle anime, che approfittano della debolezza umana per ingannare i mortali, per farli deviare dal cammino della purificazione. Nell’ottava Satira di Orazio, quando egli descrive il rituale di evocazione negromantica officiato da Sagana e Canidia, mentre le megere svolgono l’orrenda cerimonia, con il sacrificio di un’agnella nera, si odono i cani infernali (infernae canes) di Ecate in lontananza. I demoni-cani sono fantasmi notturni che fedelmente accompagnavano la Dea conducendo l’uomo alla pazzia.
Alcune fonti tradizionali attribuivano alla forma terrestre di Ecate anche un aspetto di leone o di serpente. Il leone è simbolo del Sole e della forza. In Giappone, sotto forma di cane-leone (karashish), era posto all’ingresso delle aree templari, come custode.
Il serpente è connesso con la morte e con il mondo infernale per le sua abitudini sotterranee; però può anche avere una funzione positiva associata alla vita o alla resurrezione, al cambiamento benefico. Occorre considerare, infatti, la sua capacità di rigenerazione in sèguito alla muta. L’uroboros, il “serpente che si morde la coda”, simbolo del tempo ciclico e dell’eterno ritorno, è infatti legato, nella simbologia alchemica, all’idea di purificazione delle sostanze, all’idea di ascesi, di passaggio a un dominio superiore, che apparteneva certamente all’apparato simbolico dell’Ecate celeste.
Infine, un piccolo riferimento al numero di Ecate: il Tre. Secondo la filosofia pitagorica, ogni forma può essere espressa da un numero secondo archetipi divini, creando, in questo modo, l’armonia del cosmo. I numeri sono quindi l’archè, il principio di ogni forma e di ogni cosa. Dio, l’originario, è l’Uno, che si manifesta nella dualità. Dalla tesi e dall’antitesi nasce, infine, la sintesi della Trinità, cioè dell’integrazione degli opposti e, quindi, della perfezione. Le Grazie (Gratiae e Charites), dee della bellezza al sèguito di Venere/Afrodite, le Ore, personificazione delle stagioni secondo un’originaria tripartizione dell’anno, le Parche (o Moire, o Fate), figlie della notte, che assegnavano agli uomini il loro destino: erano tutte rappresentazioni del numero Tre.
Ecate riunisce in sé la totalità degli elementi, sia superiori che inferiori, accogliendo caratteristiche specularmente opposte: luce e tenebre, simboli infernali e celestiali, elementi maschili e femminili. In questa congiunzione degli opposti, Ecate è quindi divinità dell’Armonia, simbolo di ricerca spirituale e iniziatica, che sostiene l’uomo nel suo cammino, aiutandolo a collegare, con sapienza, il mondo sotterraneo con quello terreno e quello terreno con quello sovraumano, quindi una conoscenza umana con una sovrarazionale.
Bibliografia
- Pietro Pagani, Origine del fascino del paesaggio alpino, «CAI», n.1, 1987.
- René Guénon, Alcuni aspetti del simbolismo di Giano, in Simboli della Scienza sacra, Milano, gli Adelphi, 1990.
- Dante Alighieri, Commedia, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1981.
Immagini
- in testata: Battista Dossi, La notte (1544-1548, Gemäldegalerie Alte Meister, Staatliche Kunstsammlungen Dresden; foto di Estel/ Klut da Wikipedia)
- in evidenza: William Blake, Ecate o le tre Parche, 1795, Londra.