Il sanguinaccio: storia e preparazione

Dolce della tradizione carnevalesca napoletana, il sanguinaccio è una crema al cioccolato a base di sangue di maiale che accompagna le più note chiacchiere (strisce di pasta frolla fritte cosparse di zucchero).
La preparazione del sanguinaccio è abbastanza complessa e inizia nel momento in cui viene scannato il maiale, cioè quando si recupera l’ingrediente principale: il sangue.
Il sangue, infatti, si raccoglie in un capiente contenitore e si mescola con movimenti rapidi e continui al fine di evitare che si quagli (coaguli), diventando denso e grumoso; ciò avviene talmente in fretta che quando non si aveva a portata di mano un mestolo, lo si doveva «manià co le mmane» (Cavalcanti, 1844). Il movimento circolare a cui si sottoponeva il fluido ematico impediva infatti la formazione della fibrina che, imbrigliando le cellule, avrebbe formato un unico blocco di sangue rappreso.
Benché il sangue imbottigliato mantenga intatte le sue caratteristiche organolettiche, oltre alle sue qualità nutrizionali, per circa 10 giorni, si riteneva che la crema migliore fosse quella preparata con sangue fresco; con un «puorco (co revereuzia parlanno) e de chillo tanno scannato» (Cavalcanti, 1844).
La ricetta del sanguinaccio è stata trascritta diverse volte nel corso del tempo e sebbene siano riportate delle differenze tra le varie versioni, tutte convenivano che bisognasse mescolare a fuoco lento i seguenti ingredienti, aggiunti rigorosamente tutti insieme: sangue, cioccolato, zucchero, cedro e cannella.

miette ogne ncosa dint’a na cazzarola, e co na cucchiara vuote sempe, comm’avisse da fa la crema (Cavalcanti, 1844)

Nel Settecento, però, il cuoco e letterato napoletano Vincenzo Corrado, nell’opera Il cuoco galante, spiega come si puntasse alla cremosità del sanguinaccio, aggiungendo alla ricetta canonica “panna di latte”, e all’esaltazione del cioccolato con “aranci canditi triti” (Corrado, 1773). Nel 1800 invece si cercava d’incrementare il sapore del dolce, più che la cremosità. Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, letterato appassionato di gastronomia, in Cucina teorico-pratica agli ingredienti base aggiunge alla ricetta «no grano de carofano fino, […] meza libbra de mustacciuolo pesato», ma non nomina la panna tanto importante per Corrado.

Sanguinaccio “senza sangue” (foto asciacatascia)

Nell’800 era solito conservare il sanguinaccio «dinto a lle stentina de puorco» (Cavalcanti, 1844), avendo premura di non riempirli troppo, rischiando così la rottura. Questo insaccato dolce era poi immerso in acqua calda e lasciato bollire pochi minuti, il tempo necessario a far cuocere l’intestino e, una volta pronto, si tamponava con stracci per asciugarlo e infine conservato. Poco prima di essere mangiato lo si poneva su carta unta di nzogna e si riscaldava per ravvivarne il gusto (Cavalcanti, 1844).
Il sanguinaccio ottocentesco di Cavalcanti riprende la ricetta del ’700 in cui però l’acqua di cottura era arricchita con foglie di alloro, sale e cannella (Corrado, 1773), tutti ingredienti che nel XIX secolo sono già parte della crema.

Bibliografia

  • Ippolito Cavalcanti, La cucina teorico-pratica, ovvero, Il pranzo periodico di otto piatti al giorno, Napoli, Stamperia e cartiere del Fibreno, 1844.
  • Vincenzo Corrado, Il cuoco galante, Napoli, Stamperia Raimondiana, 1773.

Immagini

    • in testata: porco pelatiello, anche conosciuto come nero casertano (foto di Ciro Viaggio)